A colloquio con Luca Errigo alla scoperta di una storia italiana. Quella di Rupes

Iniziamo subito con una domanda secca: RUPES sul podio mondiale per due anni consecutivi in tre prestigiose competizioni . Un altro traguardo importante anche per la Calabria. Siete orgogliosi di questo riconoscimento?

Siamo orgogliosi di aver ricevuto questi prestigiosi premi. La medaglia d’oro alla World Liqueur Award, si unisce al primo premio ricevuto ad inizio anno del 2020 dalla giuria internazionale dell’ambìto premio American Awards 2020, istituito dall’American Wines Paper ed al World’s Best Erbal e Best italian herbal nel 2021. Ultimo riconoscimento alla competizione mondiale di Bruxelles. Ricordo di aver ricevuto la notizia dell’attribuzione della medaglia d’oro alla  World Liqueur Award in piena emergenza Covid. Bissare nel 2021 con il Best World era impensabile. Non abbiamo festeggiato come avremmo voluto per rispetto della drammatica situazione, ma la commozione è stata tanta comunque. Il sacrificio  di nostro padre si è visto riconosciuto e noi siamo orgogliosi dell’Amaro Rupes poiché rappresenta, con i  suoi sentori, un territorio da amare, da custodire e da tramandare.

RUPES non è solo un amaro, è un legame con l’intera regione. Da dove nasce l’idea?

Probabilmente l’idea è stata presente da sempre nella nostra famiglia, a seguire il nostro capostipite Vincenzo ad inizio ‘800 dello scorso millennio. Il legame con il territorio, particolarmente vocato alle erbe officinali, alle spezie ed anche all’agricoltura, è forte quanto la storia millenaria dell’intera Locride che l’ha resa un tempo ricca e forte.

Oggi tocca a me insieme a mio fratello Francesco l’onere e l’onore di proseguire sui loro insegnamenti.

Avete utilizzato circa trenta erbe officinali: sono tutte legate al territorio?

Tutte le erbe sono calabresi, raccolte a mano e quasi tutte crescono spontaneamente nelle nostre campagne.

Pare che in merito a questo liquore esista una sorta di leggenda. Parlatecene!

È la storia che abbiamo sentito raccontare in tutte le occasioni nelle quali in famiglia si brindava con il Rupes:

Erano i primi decenni del Diciannovesimo Secolo.

La carestia si mostrava con il suo vero volto attraverso la fame. Braccianti e artigiani erano alle strette, vessati dai signorotti delle terre e dalle tasse.

Il giovane Vincenzo viveva a Roccella, ai piedi della rupe. Commerciava beni di prima necessità caricando sulle spalle la sua merce per rifornire i paesi limitrofi. Sottobanco, solo agli  amici più fidati, vendeva uno stomatico di infusi d’erbe in distillato, estratto personalmente durante la notte ai piedi della rupe in cui viveva, per non destare sospetti ad occhi indiscreti. ​ Degli ingredienti e della modalità di realizzazione custodiva gelosamente la ricetta tramandatagli dalla cara madre.

Fu in una di quelle notti mentre intento a distillare che conobbe Pietro, un giovane avvocato di Roccella di distinta e buona famiglia che si incontrava per discutere, insieme ad altri amici della riviera, all’ombra della notte, a due passi dalla piccola distilleria abusiva.

Vincenzo, diffidente inizialmente, accettò di far provare il suo infuso che continuò a portare di notte per alcuni anni. Non osò mai chiedere di cosa si dialogasse in quegli incontri segreti, neppure quando la confidenza fu maggiore. Aveva intuito, però, che i giovani erano poeti, sognatori, portatori e testimoni di una morale tollerante e rispettosa nei confronti di tutti gli uomini e della loro dignità. Qualche volta, dopo aver lasciato l’infuso d’erbe da degustare, sentì in lontananza ​ Pietro chiamare il liquore “Rupes”, alzando i calici all’esclamazione “Evviva la Liberà”; “Evviva la Patria”.

Non capì mai perché Pietro e i suoi amici da lì a poco pagarono quegli incontri con la vita, giustiziati pubblicamente.

Custodì gelosamente ​ il segreto di averli incontrati e, per paura, non produsse più il Rupes tanto caro a quei giovani.

Passarono molti anni e Vincenzo, poco prima di lasciare la vita terrena, alla fine del XIX secolo, fece in tempo a strappare un’ultima promessa al figlio, non prima di avergli raccontato di quei giovani e del loro sogno di Libertà: “La ricetta di Rupes dovrà essere tramandata ma il racconto di quegli incontri dovrà rimanere un segreto almeno per un secolo”; quasi aleggiasse ancora la paura di quel Regno despota e prepotente, ormai retaggio del passato.​

La promessa fu mantenuta. Quella ricetta fu custodita gelosamente e tramandata da padre in figlio per quattro generazioni. ​

Come nasce la vostra azienda? Avete da sempre desiderato distillare liquori?

La nostra azienda ha continuato il lavoro del commercio alimentare all’ingrosso e al dettaglio di generi alimentari. L’azienda si è strutturata fondando una catena di supermercati ed un cash&carry a Roccella Jonica, tra i più grandi della Calabria. Si è deciso di ridare vita al “Rupes” per celebrare la memoria dell’antenato che quasi due secoli fa avviò l’attività di famiglia, e per raccontare un territorio ricco di potenzialità e d’eccellenze.

Di certo siete una realtà regionale di cui andare fieri: come vivete il rapporto con il territorio? Come sopravvivete, come azienda, alle numerose difficoltà che purtroppo persistono in Calabria?

Le difficoltà sono cicliche. Un imprenditore le deve preventivare. Quando arrivano le crisi è il momento di rinnovarsi, di ricercare nuovi stimoli e vincere nuove sfide!

Che tipo di mercato avete? Siete riusciti ad inserirvi anche nel mercato globale?

Il mercato globalizzato, grandissima opportunità commerciale, ha mostrato i suoi limiti nei momenti più difficili. Al momento siamo orgogliosi del mercato così detto “glocale”, che ci vede in affanno rispetto ai cicli produttivi a sostegno della qualità.

Avete in mente un altro progetto “spiritoso” che delizierà i nostri palati?

Dopo le ultime novità (Rupes Red, Rupes White e le grappe Hiberna) non posso rivelare nulla. Vi anticipo solo che siamo in continuo fermento.

Seguiteci per scoprirlo.

da un’intervista di Calabrisella Magazine